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Antonella Cortese (Criminologa): 59enne uccisa a Milano,cecità emotiva che porta a oggettivizzazione


Numerose ferite da arma da taglio alla schiena hanno causato la morte a Milano di Adriana Signorelli, 59 anni. Il marito ha tentato la fuga e di investire gli agenti sotto casa, ma la sua auto è finita su un’aiuola. Ora è piantonato in ospedale. Un passato di maltrattamenti, che induce a pensare come questo sospetto carnefice abbia perpetrato e reiterato quei tipici comportamenti che portano,  nel tempo, all’oggettivizzazione della vittima. Di fronte al quotidiano bollettino di guerra cui i media ci sottopongono, è lecito e logico porsi una domanda: come un essere umano possa agire in maniera crudele ed efferata nei confronti di un altro. L’oggettivizzazione della vittima è spesso il fattore che spinge a considerare “l’altro” un oggetto e che rinvia all’universo della mercificazione ed all’uso strumentale delle sue qualità fisiche e si accompagna, nel soggetto attivo, ad una vera “cecità emotiva” che gli consente di non vederlo, appunto, come essere umano e, soprattutto, di non provare colpa. Nel 18 novembre 2018 già un precedente di violenza. Il marito aveva bruciato la porta di casa, aveva mandato messaggi minatori alla donna e al suo rientro le aveva gettato contro un mix di candeggina e benzina, che lei era riuscita a schivare.  Denunciare,  - scrive la criminologa Antonella Cortese (vicepresidente dell'Accademia italiana delle scienze di polizia investigativa e scientifica) - vuol dire invece  fornire dati utili agli investigatori da cui raccogliere gli elementi probanti, i riscontri necessari all’Autorità Giudiziaria competente, al fine di porla nelle condizioni di poter emettere tempestivamente i provvedimenti necessari a far cessare la condotta delittuosa ed evitare di giungere, come purtroppo spesso accade a conseguenze estreme. Denunciare, pur restando un passo fondamentale, come in questo caso non basta, ed è per questo che ragionando in ottica preventiva  bisognerebbe investire di più sull’importanza della mediazione familiare prima del verificarsi delle violenze. La Convenzione di Istanbul infatti vieta la mediazione familiare nei casi di violenza Possono avere un ruolo centrale assistenti sociali e mediatori familiari, che esercitano la loro professione con strumenti tecnici e ruoli spesso diversi, ma sotto l’egida di valori e principi comuni. Occorre avere il coraggio oltre che di  denunciare anche di rivolgersi prima che verifichino situazioni di violenza alla Mediazione Familiare mirando alla riduzione del conflitto familiare  guardando al Servizio Sociale come prevenzione di quel disagio sociale che se non manifestato vuol dire non solo mettere a repentaglio  la propria incolumità ma anche  quella di tutti coloro con cui si condivide il vivere quotidiano. Così Antonella Cortese, criminologa e vicepresidente Aispis.

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