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Carlo Pellegrini, amministratore dell’Antico Caffè Greco: «Su di noi menzogne e una ruspa mediatica»

Aggiornamento: 4 dic 2019


«Fatti positivi? Per il momento no. Abbiamo avanzato una proposta per iscritto, sollecitati dalla Corte di Appello. Siamo arrivati ad offrire un raddoppio del canone di affitto, però la proprietà non ha accettato». L’ingegner Carlo Pellegrini, amministratore delegato dell’Antico Caffè Greco, srl non si fa soverchie illusioni. La possibilità di trovare una mediazione nella querelle che oppone lo storico locale di via dei Condotti alla proprietà dell’immobile, l’Ospedale israelitico, al punto in cui sono arrivare le cose, è assai labile, anche se «mai dire mai». L’appuntamento tra le parti era stato rinviato proprio al 5 dicembre per dare tempo ai legali dell’ospedale e a quello del caffè di trovare un accordo. Ma l’Israelitico non si è mosso di un metro. E alle proposta della proprietà del Caffè di raddoppiare il canone d’affitto, portandolo dai 17 mila attuali a 32 mila euro ha risposto picche. «Ci hanno detto che l’affitto che paghiamo è bassissimo, fuori dai canoni di mercato, in realtà a noi non risulta. I dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate indicano che per quel locale il valore dell’affitto dovrebbe essere intorno ai 20 mila euro al mese».


Dunque, una cifra anche più bassa di quella che vi siete detti disposti a pagare. Eppure l’Israelitico non ne vuol sapere. C’è un mercato degli affitti parallelo a quello ufficiale?


«Voci di corridoio dicono che nella zona gli affitti che i locatari pagano sono molto più alti di quelli che riporta l’Agenzia delle Entrate. Però la normativa attuale sui movimenti in contanti non consente di dichiarare valor più bassi degli affitti. Se dunque gli affitti che risultano nella banca dati Omi risultano così bassi, un cittadino cosa deve pensare?»


Che c’è un mercato nero degli affitti, oppure che i canoni sono effettivamente vicini a quelli che emergono dalla banca dati dell’Omi.


«Esatto. Nel primo caso, è evidente, si porrebbero tutta una serie di interrogativi sulla legalità in questa città. Interrogativi inquietanti. Perché se l’affitto che si paga finisce per mangiarsi i guadagni c’è qualcosa che non torna».


L’Israelitico sostiene che potrebbe ricavare dall’immobile quasi dieci volte di più di quel che pagate voi. Prada, ad esempio, che sta sulle vostra stessa strada sembrerebbe che paghi circa 120mila euro al mese.


«E’ possibile, ma parliamo di un immobile immenso, molto ma molto più grande del Caffè Greco. La caffetteria non può pagare affitti così spropositati per un immobile che peraltro non è propriamente di pregio – il pregio glielo dà semmai la presenza del Caffè – Parliamo infatti di un locale lungo e stretto con gran parte della superficie che gravita su via delle Carrozze, che non ha certo i prezzi di via Condotti. Ricordo poi che il locale è sottoposto a tutela del Ministero dei Beni Culturali. Ha insomma dei vincoli di legge che pesano sulla valutazione del canone».


Ingegnere come se la spiega la rigidità dell’Israelitico?


«Che dire! Siamo molto perplessi. Gli elementi soggettivi di questa trattativa sono che loro si rifiutano di fare offerte. Noi abbiamo offerto il doppio. Non è che loro ci hanno detto: “vogliamo di più”. Hanno detto no e basta. Il buonsenso e la logica dicono che dovrebbero fare una controproposta. Invece niente …. sono dei comportamenti non corretti. Le dirò di più, ci siamo anche detti disponibili ad avviare una trattativa per l’acquisto dell’immobile. Anche in questo caso non c’è stata risposta».


Qualche giorno fa ha cominciato a girare perfino la voce che le opere d’arte che costituiscono parte integrante dell’Antico Caffè Greco non sarebbero nemmeno vostre. Che risponde?


«Che sono menzogne inventate di sana pianta. Al punto che abbiamo deciso di presentare una relazione per fare chiarezza sulla vicenda. In linea teorica non ne saremmo tenuti, perché in uno stato di diritto l’onore della prova spetterebbe a chi va sostenendo che le opere d’arte non ci appartengono. Il Codice civile infatti prescrive espressamente che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. Insomma, chi sostiene che le opere d’arte non sono di proprietà del Caffè dovrebbe provarlo davanti al giudice. Basterebbe leggere i libri contabili dell’Antico Caffè Greco per vedere che le opere d’arte sono registrate nel patrimonio della società. Ma tant’è. Nel decreto di vincolo del ministero del 1953 d’altronde è scritto chiaramente che il Caffè Greco è un bene tutelato e che le suppellettili, gli arredi e le opere d’arte sono di proprietà della società Antico Caffè Greco. Non capisco davvero con quale faccia di possa sostenere il contrario. Viviamo in una società in cui le bugie, se ben confezionate diventano verità. E non posso non vedere che sulla nostra attività si è messa in azione una potente ruspa mediatica».


Non bastasse la vicenda giudiziaria ci si è messa pure l’accusa di antisemitismo per un post contro l’Israelitico sulla vostra pagina Facebook.


«Abbiamo preso subito le distanze da quelle parole. Ma trovo scorretto averci voluto appiccicare l’etichetta di antisemiti, che è quanto di più lontano dalla nostra cultura e sensibilità. Le dirò, anzi, che all’interno della comunità ebraica romana sono non pochi quelli che spingono per un accordo tra l’Israelitico e l’Antico Caffè Greco. Persone che si rendono conto che lo sfratto del caffè finirebbe inevitabilmente per avere un brutto ritorno di immagine anche sulla comunità ebraica della Capitale, che pure nella vertenza giudiziaria non c’entra nulla». di Giampiero Cazzato

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