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Due nuovi capi d'accusa per Salvini mentre prosegue il braccio di ferro tra Italia e Francia



Quella tra Salvini e la giustizia italiana sembra una vicenda destinata a non tramontare facilmente e nel breve periodo. Chi ipotizzava, al termine del polverone mediatico del caso Diciotti, una lesta archiviazione delle indagini a carico del ministro degli Interni, già accusato di sequestro di persona aggravato e abuso d'ufficio, dovrà senza dubbio ricredersi. Mentre infatti imperversa ormai senza sosta la polemica tra il governo italiano e l'Unione Europea e tra gli appelli accorati e l'indifferenza con cui vengono recepiti, il pm di Agrigento Luigi Patronaggio ha trovato altra carne da gettare sul fuoco e inasprire una situazione già a rischio scottatura. Ai due capi d'accusa contestati al vicepremier se ne sarebbero infatti aggiunti altri due, di cui uno strettamente legato alle infelici vicende tra l'Italia e l'Europa. Secondo la Procura infatti, stando all'articolo 289 ter del Codice Penale, l'atto di Salvini volto a forzare la mano all'Ue costituirebbe reato in quanto «chi vuole costringere uno Stato, o un’organizzazione (a compiere un atto) è punito con la reclusione da 25 a 30 anni». Una nuova pesante accusa che penderebbe sull'inquilino del Viminale e che deteriorerebbe ulteriormente l'immagine che di lui si è data nell'ultimo mese. Per qualcuno l'ennesimo colpo di mano di una Magistratura che, se non altro, da quando c'è Salvini in auge non ha perso nemmeno un minuto per spulciare tra codici e leggi nel tentativo di trovare quella adeguata per imbavagliare le sue politiche ai più scomode.


Ma nemmeno questa ultima mazzata sembrerebbe minimamente scalfire la sicurezza del capo del Carroccio che, anche se fosse provato, non dà certamente a vederlo. Spavaldo e dritto per la sua via, Salvini ha accolto la notizia dei nuovi capi d'accusa a suo carico con una battuta: «Altri capi di imputazione? Per me sono solo medaglie». C'è tutto Matteo e tutta la sua storia politica in questa risposta. C'è il coraggio di chi sa che la strada del cambiamento è costellata di imprevisti e di maldicenze, c'è l'orgoglio di non volersi fermare proprio ora che i risultati iniziano a intravedersi, c'è la rassegnazione di chi si rende conto che certi "mostri" tutti italiani assomigliano ai mulini a vento contro cui si scagliava un altro folle, prode condottiero della letteratura.


In attesa di ulteriori sviluppi di una paradossale situazione legale in capo a un ministro della Repubblica, da oltralpe, continua il botta e risposta tra il vicepremier leghista e il presidente francese Emmanuel Macron. Anche quest'oggi i due non se le sono mandate a dire, in un turbinio di frecciate al veleno che non hanno certo rasserenato il clima desertico per quanto concerne le relazioni tra due degli assi portanti della Comunità Europea. Se Salvini insiste nel rimandare al mittente le lezioni di umanità, puntando tutto sui respingimenti all'ordine del giorno che la Francia esercita alla frontiera di Ventimiglia (più di 30mila solo nel 2017), da parte di Macron c'è la rivendicazione a essere l'anti Orban-Salvini, col presidente e leader del partito En Marche che ha più volte ribadito che la retorica portata avanti dai partiti nazionalisti in tutta Europa altro non è che «menzogna di Stato». Macron si è poi scagliato, pur senza rendere effettivamente pubblico il bersaglio, contro alcune dichiarazioni uscite negli ultimi giorni in Italia in merito alle conseguenze dannose di anni di austerity imposta da Bruxelles e che, secondo alcuni, possono essere ricondotte al disastro di Genova. Il presidente francese ha sbottato contro chi «ritiene l'Europa responsabile di tutti i suoi problemi. Crolla un ponte? È colpa dell'Ue». Parole certamente forti e che daranno adito a nuove discussioni.


Una coltre fumosa sembra lo scenario che meglio si addice all'estate tumultuosa che l'Italia e l'Europa tutta si apprestano a superare, nella speranza che il freddo porti a orizzonti meno rigidi e in cui il dialogo torni a farla da protagonista e in cui, nel sacrosanto rispetto delle norme, la politica e la giustizia tornino al loro ordinario corso, possibilmente senza intaccarsi reciprocamente.

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