
Dire «dovete andare via» potrebbe diventare da oggi un reato di odio razziale. È la Cassazione a emanare, per mezzo di una sentenza sul caso di un 45enne di Gallarate condannato per concorso in lesioni ai danni di due extracomunitari, un nuovo divieto che cucirà le bocche di chi non la pensa come Fico e compagni. Proprio così, da oggi in poi la suprema Corte impone un freno al diritto libero e sacrosanto di esprimersi come meglio si crede, nei limiti della violenza, superfluo dirlo, se il destinatario della frase in oggetto è uno straniero. Poco importa che la cittadinanza italiana, messa a dura prova dall'ondata di migranti a zonzo per i nostri quartieri, quelli già più disagiati e pressati dalla povertà in primis, possa pensarla diversamente dai governanti che hanno permesso tutto ciò. Poco importa che le tutele per cittadini costretti a fare le capriole e i salti mortali per vedersi ridotti ed erosi diritti fondanti di una democrazia che sembra avere più a cuore gli ospiti, desiderati o meno che siano, vengano sempre dopo. Ora le «finalità razziali» avranno un peso determinante nelle affermazioni di ciascuno di noi, come se l'Italia si fosse trasformata in un covo di razzisti. Ancora una volta si è persa l'occasione per riportare il tema dello scontro sui binari giusti e invece di portare alla luce la realtà per come è, insostenibile e aggravata per molte frange abbandonate della nostra popolazione, è stata strumentalizzata in nome di un'accoglienza fittizia, quella che fa entrare tutti "e poi si vedrà".
Quella della Magistratura rischia di diventare una decisione modello dalle forti connotazioni politiche che invece di porsi a tutela dei diritti di chi sta qua e spesso non dovrebbe esserci, potrebbe trasformarsi nell'ennesimo atto dimostrativo di un buonismo che non giova a nessuno, di certo non a chi, esasperato, si lascia andare a illazioni e rimostranze verbali che dovrebbero essere spunto di riflessione su come poter arginare il problema dell'invasione di questi anni e non un pretesto per mettere a tacere il diritto a esprimere un parere, scomodo che sia.