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Le grandi opere restano lo scoglio Per Salvini è avanti tutta, Di Maio cerca di ricucire gli strappi



Non si acquieta lo scontro nel governo sulle grandi opere. Quello che è fino ad ora è stato un cammino caratterizzato da un quieto vivere fatto di taciti assensi e orecchie da mercante sui rispettivi terreni esclusivi di ciascuna forza dell'asse gialloverde, è finalmente giunto al vero banco di prova. Questa volta infatti non basteranno gli ammiccamenti e le promesse, così come non sarà possibile fare mezzo passo indietro a testa per incontrarsi su un piano comune. Sara sì o no. Tav sì Tav no, che potrebbe anche tradursi in governo sì o governo no. Quello delle infrastrutture potrebbe diventare il tormentone su cui rinsaldare un asse sin qui in grado di tradurre in realtà i primi punti del contratto stilato con i cittadini a maggio, ma potrebbe diventare il salto nel vuoto che sancirebbe una rottura che per ora sembra soltanto una lontana minaccia.


Eppure in ogni uscita pubblica, i due vicepremier e le conseguenti schiere a loro seguito, hanno sempre ribadito quelle che sono le prerogative da cui difficilmente potranno smuoversi. È per continuare i lavori Matteo Salvini, che non nasconde un po' di stizza quando i colleghi pentastellati esternano i loro dubbi sulla fattibilità dell'opera. Ieri, durante una festa della Lega a Capriata d'Olba, nell'Alessandrino, il vicepremier in quota leghista è tornato a ripetere quello che ormai è il suo mantra: «Le infrastrutture servono, servono strade più belle e infrastrutture nuove, io voglio andare avanti». Nessuna chiosa sullo scontro con Barbara Lezzi, ministro per il Sud, la quale respingeva la teoria di Matteo sull'importanza della Tap in Puglia.


Chi invece sembra prodigarsi per evitare che si crei davvero lo strappo o cerca in ogni modo di ricucirne i lembi finché è possibile è Luigi Di Maio, che sa benissimo come il Movimento, alla prima vera prova di responsabilità nazionale da quando è al governo, non può sbagliare una mossa né dal punto di vista diplomatico né dell'immagine che dà di sé all'elettorato. In tal senso sarà fondamentale capire come riuscirà a tenersi la botte bella piena e a intrattenersi con la moglie brilla, operazione che pare richiedere le doti di Houdini. Intervenuto ad Agorà, il vicepremier e capo politico dei 5Stelle si è detto comunque «fiducioso che Lega e Movimento 5 Stelle riusciranno a trovare un'intesa sulle grandi opere. Io e Salvini ci capiamo al volo, la Lega è sempre stata leale, noi non abbiamo pregiudizi sulle infrastrutture». Prende tempo, insomma, Di Maio, senz'altro a caccia di qualcosa da mettere sul piatto in cambio dell'appoggio del Carroccio sullo stop ai lavori in Val di Susa, ma sarà un'impresa da ricordare qualora si concretizzasse. Non sembrerebbe bastare, in tal senso, il terreno sgombro lasciato a Salvini sulla questione immigrazione, legittimato a fare il bello e il cattivo tempo in barba alle frange meno "destrorse" di un governo che raccoglie al suo interno visioni e facciate molto distinte tra loro. In quel caso i 5Stelle sono rimasti alla finestra, rassicurando tutti che quella dei flussi migratori fosse una questione comune, nonostante poi certe prese di posizione leghiste siano state mal digerite dalle aree meno radicali della maggioranza dell'esecutivo.


Anche sulla Tap, il gasdotto trans-Adriatico che dovrebbe collegare il fronte greco-turco con l'Italia e l'Europa, facendo giungere nel vecchio continente il gas naturale dalla zona del Mar Caspio, il vicepremier si è espresso con cautela invitando alla calma e cercando di sedare le polemiche, rimandando al presidente «Conte, insieme ai ministri interessati, tra cui ci sono anche io, i lavori di questo dossier».


Di sicuro non è mancato di tempismo il richiamo all'ordine e alla purezza, primo tratto distintivo del Movimento di Beppe Grillo, da parte di un fresco di compleanno Alessandro Di Battista, che se con i suoi no a Tav e Tap ha riportato una ventata di aria dei bei tempi, quelli delle piazze e dei "vaffa", nelle menti della base ormai ingolfate da tanta burocrazia e istituzionalità, non ha senza dubbio fatto un favore al collega Di Maio, che non potendo tradire le origini, e se stesso, è chiamato alla mission impossible. Un sassolino, quello che si è levato dalla scarpa Dibba dal Messico, piovuto come un masso sulla testa del vicepremier pentastellato, al centro di un fuoco incrociato in cui distinguere gli amici dai nemici sembra un'opera sempre più complessa.

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