Si potrebbe tradurre in un nulla di fatto l'incontro di ieri, preparatorio in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno, svoltosi a Bruxelles alla presenza di sedici nazioni, voluto dalla cancelliera Merkel per delineare un quadro comune all'Ue sul tema migranti. Un incontro apparentemente informale e consultivo che però non ha dato i frutti sperati e ha invece evidenziato le profonde differenze di valutazione che intercorrono fra gli assi che si stanno creando all'interno dell'Unione, spaccature che rischiano di minarne la solidità e la natura stessa. Se da un lato la Merkel cerca infatti di portare acqua al suo mulino, insistendo sul provvedimento che impedisca ai profughi identificati in un determinato paese di muoversi liberamente e confluire in altri stati, trovando aperture dal fronte franco-spagnolo, l'Italia, sostenuta a distanza dai quattro di Visegrad e dall'Austria, punta a focalizzare la questione sul rafforzamento di Frontex e sul delineare una prospettiva comunitaria del problema che identifichi come europee e non nazionali le frontiere, puntando quindi a suddividere la responsabilità sull'accoglienza fra tutti i membri della Comunità europea.
Avrebbe parlato per primo, in tale ottica, il premier italiano Giuseppe Conte, che ha sottoposto all'attenzione dei colleghi un piano, da lui stesso denominato European Multilevel Strategy for Migration, composto di dieci punti cardine. Saltano all'occhio, oltre al già citato spostamento dall'ottica nazionale a quella europea sulle frontiere, anche la richiesta di istituire dei centri di smistamento a gestione europea direttamente nei luoghi di partenza, su tutti Libia e Niger, in cui analizzare le richieste dei profughi e accertare l'effettività dei requisiti necessari a imbarcarsi. Altra ferma presa di posizione italiana sarebbe quella del "no" alla proposta di Macron e Sanchez di istituire i centri chiusi direttamente nei paesi di sbarco, soluzione considerata aggravante di quei paesi, in primis l'Italia, già a lungo e troppo sollecitati dagli sbarchi continui. "Vogliamo completamente superare il regolamento di Dublino, basato su una logica emergenziale. Noi vogliamo affrontare il problema in modo strutturale. Le nostre opinioni pubbliche ce lo chiedono". Le parole con cui il premier si è rivolto alla stampa.

Risale a poche ore fa invece il faccia a faccia a Tripoli fra il ministro degli Interni Matteo Salvini e il suo omologo libico, Abdulsalam Ashour. Un incontro volto a "rinsaldare l'amicizia tra i due Paesi e la collaborazione su tutti i fronti, a partire dall'emergenza immigrazione, ma anche per realizzare iniziative comuni in materia economica e culturale", così il capo del Viminale, il primo esponente del nuovo governo a visitare il paese del Nord Africa. Presente, anche in qualità di mediatore e organizzatore del colloquio, l'ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone. Al pari grado libico, Salvini avrebbe riproposto l'idea italiana di istituire centri chiusi già in territorio africano, nello specifico a sud del confine libico, per arginare a monte la questione degli sbarchi e per stroncare l'odioso traffico umano nel Mediterraneo a opera di scafisti e organizzazioni criminali.
A smorzare gli entusiasmi è però intervenuto, nel corso di una conferenza stampa congiunta con lo stesso capo del Viminale, il vicepremier libico Ahmed Maitig, che ha spento, almeno per il momento, sul nascere l'iniziativa europea. "Rifiutiamo categoricamente la proposta circolata in ambito europeo di realizzare campi per migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica". Palla che ritorna quindi al centro, in attesa di nuovi sviluppi. Maitig, nel corso di un'intervista rilasciata a Repubblica, ha voluto comunque ribadire l'importanza di una stretta collaborazione con l'Italia: "I trafficanti che portano i migranti in Italia sono per noi pericolose bande criminali, che non consentono alla Libia di prendere provvedimenti per una difficile stabilizzazione", il suo commento.

Intanto nel Mediterraneo prosegue l'odissea dei più di trecento profughi bloccati tra la ong Lifeline e la nave cargo danese Alexander Maersk, giunte al quinto giorno di navigazione e in attesa di conoscere un futuro ancora tutt'altro che delineato, fra il meteo che continua a peggiorare e la situazione sotto coperta che inizia a farsi seriamente complicata. L'ultima iniziativa presa a bordo dell'imbarcazione ong, stando alle parole del rappresentante Alex Steier, sarebbe quella di una richiesta di approdo in un porto francese, ancora al vaglio delle autorità. Ancora senza una risposta, ha precisato Steier, anche la richiesta di sbarco fatta pervenire nei porti spagnoli.
Intanto prende corpo la nuova linea operativa dettata dal governo italiano, e per la prima volta la marina libica si è attivata in un'operazione di salvataggio e rimpatrio di oltre ottocento migranti recuperati in diversi gommoni a largo delle coste libiche, un punto segnato dalle politiche a firma Salvini-Toninelli che sembrano aver sancito un punto di non ritorno nella gestione dei flussi verso l'Europa.