Attori e conformismo (la rubrica di cinema di Michele Lo Foco)

Nel corso degli ultimi anni si è assistito a un generale impoverimento del valore delle produzioni cinematografiche italiane e dei loro protagonisti

La mancanza di libertà dei produttori cinematografici nazionali, ormai implacabilmente stretti tra il Mic, con le sovvenzioni ed il tax credit, e Rai Cinema, ha avuto e continua ad avere forti ripercussioni sulla professione di attore e sulle scelte da parte del pubblico.

I nostri burocrati non sanno che notorietà non è sinonimo di accettazione, e che accettazione o gradimento sono sensazioni che vanno inquadrate nei diversi media e che comportano grandi differenze di risultato,

La notorietà dipende dalla diffusione dell’immagine della persona tramite televisione e giornali di vario tipo, ma, come per esempio nel caso di Sgarbi, può non coincidere con la simpatia: si può essere noti e suscitare fastidio anche in relazione all’ambiente circostante.

Se Sgarbi parla d’arte è più tollerato che se viene intervistato nei talkshow.

Tornando agli attori, la borghesia e convenzionalità dei nostri burocrati divenuti produttori cinematografici non consente loro di uscire dall’ovvio e subiscono il fascino della notorietà senza accorgersi che il pubblico, al solo nome dell’attore, rifiuta il film e se va bene lo aspetta in televisione.

Solo i grandi attori, quelli di una volta, avevano un seguito che prescindeva dal film, il divismo è questo, e oggi è solo fenomeno americano. Chi mai in Italia seguirebbe Castellitto o Raul Bova o Siani o la Gerini o la Bellucci in ogni loro performance? Al contrario, alcuni di costoro rigettano il pubblico, lo respingono, salvo che il film non si riveli un capolavoro: ma come si sa, è un fenomeno molto raro.

La libertà dei produttori nella scelta di visi e professionalità diversi e nuovi è uno degli aspetti chiave dello spettacolo: un attore non deve stancare, deve interessare, non deve essere l’amante di un burocrate statale, deve essere nato per quel ruolo, viverlo e trasmetterlo.

Certo, se al contrario l’elementarità del testo, l’esiguità della trama, la banalità delle scene consente a tutti, ed in particolare a tutte, di esibirsi, non c’è più motivo per pretendere professionalità.

I nostri burocrati si sdilinquiscono per una velina o per una bellona dagli atteggiamenti permissivi?

Ecco che nasce un film, ma pretendere che questo prodotto circoli nel mondo e che i nostri attori vengano conosciuti anche solo in Svizzera è pura illusione.

Bisognerebbe al contrario citare per danni coloro che consentono che il nostro prodotto nazionale sia svilito e disprezzato, e che alcuni di coloro che vengono definiti attori, autori, presentatori, continuino a rappresentare il nostro spettacolo.

Ieri è morta la Vitti, dopo lunghi anni di sofferenza e di assenza dalle scene: eppure Lei, diva, attrice di talento, icona di una femminilità disinvolta, è talmente rimasta nella mente del pubblico da suscitare grandi emozioni.

Lei è l’esempio di un altro cinema, senza burocrati ma con grandi registi, grandi interpreti, grandi autori: lei non era disponibile, non era libera di concedersi, non era pronta a tutto, e infatti ci ha lasciato capolavori di intelligenza recitativa di eterno apprezzamento.

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