Cesa: “Nel Paese c’è voglia di Dc, l’operazione di Renzi è solo tattica”

Quando Lorenzo Cesa usa la parola «amici» riporta ai tempi antichi e gloriosi della Balena Bianca. “Amici” versus “compagni”. Il mondo della politica nella prima Repubblica passava per questi due poli: due modi di vedere il mondo. Poi è arrivato il Pd, quello che anni fa D’Alema sprezzantemente definì «l’amalgama non riuscito», e nelle assise degli eredi della vecchia Dc, accasatisi con gli eredi del Pci, salomonicamente arrivò il “cari amici e compagni” (tendenzialmente in quest’ordine). Una confusione perfino nel modo di definirsi che per il segretario dell’Udc è figlia della «estrema debolezza, quasi evanescenza dei partiti oggi presenti sul mercato politico». Gli «amici» di cui Cesa parla sono quelli che, nelle sue intenzioni, possono costituire la massa critica per rivitalizzare i partiti e ridar vita ad una nuova Dc, «certo non con quei numeri, ma con la stessa tensione ideale, la stessa visione del futuro». Pochi giorni fa, subito dopo il congresso di Fiuggi, Cesa ha incontrato i soggetti con cui punta a rimettere in campo una prospettiva centrista. Un patto federativo, «senza pretese di primogenitura», per costituire un argine al sovranismo. Finora il leader dell’Udc ha messo interno al tavolo i rappresentanti di Popolari per l’Italia, Dc, Cdu, Mir, Popolari per la Puglia, anime sparse del pensiero liberale, Politica Insieme, e Movimento per la Vita. Ma è solo l’inizio «perché tra pochi giorni nuovi soggetti saranno invitati a ragionare sulle prospettive che si aprono al centro»: pezzi di associazionismo cattolico e di società civile e, ancora, parlamentari di area cattolica sparsi nei vari partiti.

Insomma Cesa, vi assegnate una funzione maieutica. Ostetriche della cara vecchia Dc?

«Ostetriche di una nuova Dc proiettata nel futuro. La funzione che ci assegniamo è quella di mettere assieme tutta quell’area democratico cristiana che c’è ed esiste, che è fatta non solo dall’Udc ma da tanti movimenti politici che esistono localmente e sono portatori di un modo nuovo di fare politica. Vogliamo riaggregare quel settore che militava nella Democrazia Cristiana e che metteva al centro della politica la difesa delle fasce più deboli. Lo sa che ci sono tantissimi credenti – gente che va a messa la domenica, che fa volontariato – che non vanno più a votare perché non si riconoscono in nessuno dei soggetti presenti sulla scena politica. Quella gente è la nostra gente e a loro dobbiamo tornare a offrire una alternativa riconoscibile, un pensiero forte e serio».

Segretario, fino a pochi mesi fa il centro era dato per morto, fenomeno marginale se non addirittura di folklore. La fine del governo penta leghista ha riaperto tutti i giochi della politica italiana e nelle scomposizioni e ricomposizioni in atto l’unica cosa che appare sicura è che il centro è affollato come non mai. Dica la verità: vi siete mossi per evitare l’Opa di Renzi sul centro?

«Ma no! Come le ho detto prima i partiti sono oggi pallidi ricordi di un tempo che fu, dominano sulla scena personalità che piegano la politica agli interessi personali del momento. Il Pd era ed è la sommatoria di più soggetti. E tutto questo perché non c’è più una base comune da difendere, programmi a cui fare riferimento. Renzi non è la soluzione alla crisi dei partiti, Renzi ne è in qualche misura il prodotto».

Pollice verso per l’ex premier e la sua creatura Italia Viva, dunque?

«Quello di Renzi è puro tatticismo. Non vedo una spinta ideale ma solo una operazione di palazzo. Ha evitato le elezioni e questo è un bene, ma lo ha fatto senza un profilo programmatico ed un progetto da offrire al Paese. Prima mette all’angolo Zingaretti spingendo il Pd all’accordo di governo con i Cinque stelle e poi, a freddo, dice di non si riconoscersi più nel partito democratico. Ma come, dopo che il tuo partito, pur tra molti dubbi, sposa la tua linea tu lo lasci il giorno dopo! In ogni caso attendiamo i contenuti. Nel frattempo registro che tutto questo crea confusione e disincanto nel corpo elettorale».

Perché il centro si aggreghi, perché ritorni la Dc, c’è una condizione imprescindibile: una legge elettorale in senso proporzionale.

«Noi democratici cristiani siamo sempre stati proporzionalisti, lo siamo ancora di più quando si parla di tagli dei parlamentari. Si vuole ridurre il numero? Non c’è alternativa al sistema proporzionale con preferenza. In caso contrario il rischio, anzi più di un rischio, sarebbe la mortificazione della rappresentanza, l’esclusione di forze che pure hanno una loro importante consistenza sulla scena parlamentare. Per riavvicinare i cittadini alla politica la strada maestra è il proporzionale».

Col proporzionale la corsa al centro sarebbe un fatto compiuto.

«Mettiamola così. Quando manca un centro non c’è stabilità nel paese, dominano gli eccessi, l’intemperanza delle posizioni. E Dio sa se invece non c’è bisogno di un centro del buonsenso, della concretezza e della ragionevolezza dopo le ubriacature di questi 15 mesi che abbiamo alle spalle. L’Italia ha bisogno di ritrovare la strada per liberarsi dal morbo del sovranismo».

Al congresso di Fiuggi l’Udc ha chiesto, anzi, ha reclamato con forza un cambio di passo alla coalizione di centrodestra.

«Noi siamo nel centrodestra. Ma con i nostri valori. E tra i nostri punti fermi c’è l’europeismo. Chi oggi pensa di stare fuori dall’Europa è semplicemente folle. Il mondo è cambiato e non si può affrontare la competizione politica, economica e finanziaria se non stando all’interno dell’Europa. Un’Europa da migliorare, da avvicinare ancor di più ai suoi cittadini, ma da tenere ben stretta, perché è garanzia di pace, libertà, benessere e solidarismo. In Europa Salvini – e purtroppo l’Italia con lui – quest’anno non ha contato nulla. Qualcuno ha sbagliato. E sarebbe bene che su questi errori ci fosse – per correggerli – un ragionamento nel centrodestra. Insomma, Salvini e la Meloni devono capire che senza un partito di centro moderato, che parli al mondo popolare, non vanno da nessuna parte. Ai leader di Lega e Fratelli d’Italia ricordo che le regionali si vincono solo grazie all’apporto consistente dei voti moderati. Abruzzo, Basilicata e Sardegna ne sono la dimostrazione. Ma il centrodestra per essere davvero unito non può essere gestito esclusivamente dai sovranisti. Centrodestra unito significa la presa d’atto che l’anima moderata e centrista ha piena dignità. Che le nostre posizioni e valori meritano attenzione e rispetto. Ecco perché è quanto mai urgente ricreare una forza che faccia riferimento al Partito popolare europeo».

E Berlusconi in tutto questo che ruolo gioca?

«Berlusconi in queste settimane ha ricollocato Forza Italia in un’area europeista e alternativa ai sovranisti. In ogni caso noi non aspettiamo nessuno. Intanto riorganizziamo il campo con l’ambizione e la fondata speranza che possa nascere al centro qualcosa di più consistente».

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