Borsellino, 31 anni fa la strage di Via D’Amelio che uccise il giudice antimafia

Il 19 luglio 1992 il magistrato membro del pool antimafia moriva, insieme ai 5 agenti della scorta, in un attentato a Palermo per mano di Cosa Nostra

 

Sono passati 31 anni dalla strage di Via D’Amelio, a Palermo, in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino, membro del pool antimafia, e 5 agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.  Eppure dopo numerosi processi e molti depistaggi non è stata ancora fatta piena luce sull’attentato avvenuto a soli 57 giorni da un’altra strage, quella di Capaci, costata la vita, all’amico e collega Giovanni Falcone.

“È arrivato il tritolo per me. La mafia mi ucciderà”

Borsellino sapeva si avere le ore contate. Più volte ne aveva parlato con i membri della sua scorta: “Sono turbato. Sono preoccupato per voi perché so che è arrivato il tritolo per me e non voglio coinvolgervi”

Dopo la morte di Giovanni Falcone, Borsellino sapeva che per lui era iniziato il conto alla rovescia: “Mi ucciderà materialmente la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”.

Il 19 aprile 1992, alle 16:58, una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre di Borsellino, con circa cento chili di tritolo a bordo, esplode al passaggio del giudice. Oltre al magistrato palermitano, l’autobomba uccide anche i suoi “angeli custodi”: Emanuela Loi, che a 24 anni è la prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetta alle scorte, Agostino Catalano, 42 anni, Vincenzo Li Muli, 22 anni, Walter Eddie Cosina, 31 anni, e Claudio Traina, 27 anni.

Unico superstite è l’agente Antonino Vullo. La sua è la prima testimonianza a ricostruire la dinamica dell’attentato: “Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha scaraventato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.

Il giudice Paolo Borsellino e lo scrittore Leonardo Sciascia
Foto di pubblico dominio

I funerali in forma privata

I familiari del giudice rifiutano i funerali di Stato. Il 24 luglio 1992, nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac a Palermo la cerimonia funebre si svolge in forma privata. La vedova Borsellino ritiene responsabile il governo della morte del marito per non averlo protetto. A ricordare il magistrato vittima della mafia ci sono 10mila persone, gente comune che si stringe attorno al feretro del magistrato simbolo della lotta alla mafia.

I depistaggi e l’agenda rossa

Da subito le indagine vengono deviate verso falsi pentiti e false prove. Già pochi minuti dopo la strage, dal luogo dell’attentato sparisce l’agenda rossa del giudice, un diario in cui Borsellino annotava ogni sua intuizione e dove forse aveva scritto qualcosa di importante sui mandati della strage di Capaci. Di certo i giudici escludono un coinvolgimento della mafia: “Può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa Nostra”, scrivono i magistrati di Caltanissetta nella motivazione della sentenza sul depistaggio della strage di Via D’Amelio.

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