Ecco perché può essere rischioso liberare nel mare un’aragosta comprata al ristorante

Liberare un’aragosta in mare per salvarla dall’essere cucinata? Un gesto che a qualcuno potrà sembrare nobile, ma che potrebbe comportare anche dei rischi per la natura…

Non è di certo la prima volta che accade, ma come ogni volta l’episodio sta facendo discutere. Nei giorni scorsi una turista svizzera in vacanza in Sardegna ha deciso di salvare la vita a un’aragosta. L’animale si trovava all’interno di un acquario del ristorante “Gente di Mare” a Golfo Aranci. Era lì, pronta a essere cucinate in caso di richiesta di un avventore. La donna, invece, ha chiesto di poterla acquistare e ha poi deciso di liberarla in mare. Nel video, immortalato dal compagno della donna e che ha fatto poi rapidamente il giro d’Italia, si vede la turista accarezzare l’aragosta per poi liberarla tra le onde. Un gesto che, agli occhi di molti, potrebbe sembrare nobile e che, sicuramente, nell’ottica della persona che l’ha fatto, lo è. La donna svizzera, infatti, non poteva accettare l’idea che l’aragosta venisse uccisa per essere cucinata e ha scelto una via alternativa. Allo stesso tempo, però, il gesto della turista potrebbe portare con sé conseguenze negative per l’ambiente…

Liberare un’aragosta in mare: cosa succede?

L’Italia, in questo momento, sta facendo i conti con l’invasione di una specie aliena. Il granchio blu, di cui si legge e si discorre ormai da settimane, sta avendo effetti devastanti sull’ecosistema marino di diverse zone costiere. Si è diffuso a dismisura e ora è diventato complesso riuscire ad estirparlo e, di conseguenza, serve fare i conti con i danni che sta arrecando, soprattutto agli allevamenti di cozze e vongole, ma non solo. Quello del granchio blu è soltanto l’ultimo esempio di come una specie che proviene da fuori possa avere un impatto negativo su un diverso ecosistema.

Aragosta in acqua
Immagine | Unsplash @Robin Teng – Spraynews.it

Per definizione, una specie aliena o alloctona, viene identificata come una qualsiasi specie vivente che, a causa dell’azione dell’uomo (intenzionale o accidentale), si trova ad abitare e colonizzare un territorio diverso dal suo areale storico. Il suo impatto, dicevamo, può avere effetti disastrosi:

  • competizione con organismi autoctoni per il cibo e habitat.
  • ibridazione con specie autoctone.
  • cambiamenti strutturali negli ecosistemi.
  • diffusione parassiti o veicolo di patogeni (e.g. virus, batteri).
  • impatto predatorio su specie autoctone.

Quelli elencati sono gli effetti diretti sull’ecosistema, ma l’impatto è a più ampio raggio. Serve, infatti, tenere conto anche dei fondi che gli enti pubblici devono mettere a disposizione per combattere queste specie e i danni che, partendo dall’ecosistema colpito, possono riflettersi poi a catena su tutta una filiera e, in generale, sull’economia.

Un esempio dal passato

Non serve, quindi, spiegare come un gesto all’apparenza innocuo, come gettare un’aragosta in mare, possa in realtà avere effetti negativi sulla natura. Viene sì salvata la vita all’animale, ma a che prezzo? La turista che ha liberato l’aragosta, sa se quel luogo era il migliore in cui farlo? Sa che impatto l’animale potrebbe avere sul resto dell’ecosistema? “Ciò che viene costantemente ignorato è che il fine della “conservazione” non è l’individuo ma la specie, ed è quest’ultima che va salvaguardata – sottolinea giustamente il sito riservamagazine.com – Liberare, tutelare o “risparmiare” qualche individuo di una specie aliena in Italia può significare la condanna di “un’intera specie autoctona”“.

Per spiegare meglio ciò di cui stiamo parlando, portiamo una storia che risale ormai a più di cinque anni fa e venne raccontata da greenstyle.it. Una storia esemplificativa dell’attenzione che ci vuole quando si compiono gesti di questo tipo. Christine Loughead, avvocato canadese, fece all’epoca un gesto molto simile a quello della turista svizzera in Sardegna. Salvò la vita di un’aragosta che, altrimenti, sarebbe finita in un piatto. Dopo l’acquisto la portò a casa e per un periodo la tenne con sé. Quando decise che era giunto il momento di liberarla, non lo fece d’istinto, ma cercò quale fosse il luogo più adatto per farlo. Venne scelta la Nuova Scozia, uno dei bacini più vicini concentrati sulla pesca delle aragoste. Con il supporto di un’altra animalista, Christine preparò un pacco adeguato e spedì la sua aragosta in Nuova Scozia, dove venne poi liberata.

Come dicevamo, un gesto identico, ma profondamente diverso. Christine, infatti, prima di compiere l’ultimo passo per salvare l’aragosta si è sincerata dell’impatto che questa avrebbe potuto avere sull’ecosistema e ha preso la decisione migliore per lei e per l’intero pianeta.

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