Non resisti a fare shopping? Sono questi i trucchi del marketing per farci spendere (e come resistere!)

Ti capita mai di sentire un bisogno incontrollato e compulsivo di fare shopping? Se la risposta è sì, in questo articolo ti spiegheremo il perché

I neuroni comunicano tra loro rilasciando sostanze chimiche, come la dopamina, legata al piacere e alla ricompensa. Nel caso degli acquisti, la pubblicità può attivare circuiti neurali associati al desiderio, creando un loop che porta all’acquisto impulsivo. Il marketing sfrutta strategie che stimolano emozioni e desideri, influenzando il nostro cervello. L’acquisto di un bene materiale può talvolta trasformarsi in uno “shopping compulsivo“, manifestando un desiderio incontrollato di acquistare un oggetto specifico, anche se non è strettamente necessario. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Shopping compulsivo, cos’è e come provare a combatterlo

Lo shopping compulsivo, considerato una delle “nuove dipendenze” in psicologia, non è un disturbo recente. Nel 1915, lo psichiatra Emil Kraepelin descrisse la dipendenza dallo shopping come “oniomania“, termine derivato dall’etimologia greca che significa “mania di comprare ciò che è in vendita”.

La sindrome da shopping compulsivo è un disturbo in cui una persona fa acquisti in modo compulsivo, anche se consapevole di non avere bisogno di ciò che sta comprando. Questo comportamento si manifesta come un modo per alleviare sensazioni di malessere e tensione crescenti. Il disturbo si acuisce quando l’impulso ossessivo agli acquisti diventa incontrollabile, nonostante le conseguenze negative sulle finanze e sulle relazioni interpersonali.

Con l’avvento delle nuove tecnologie, sembra che le nostre scelte d’acquisto siano fortemente influenzate dalle pubblicità. Dagli albori delle televisioni negli anni ’50, seguite dal boom dei caroselli, è iniziata un’epoca prolungata di “indottrinamenti” tecnologici che continuano a plasmare le nostre decisioni di acquisto ogni giorno.

Shopping compulsivo
Immagine | Pixabay @JackF – Spraynews.it

Va ricordato che il marketing pubblicitario, in forme mutevoli, è sempre stato presente: dal bambino strillone nelle piazze che incitava all’acquisto dei giornali appena stampati, fino alle epoche passate con monete con l’effigie dell’Imperatore, ogni cosa è stata veicolata attraverso la pubblicità.

Ma perché è così arduo resistere? Se l’economia ha sempre funzionato così, significa che in noi esiste qualcosa di irresistibile, un istinto innato che ci predispone ad essere facilmente persuasi da ciò che vediamo. Il neuromarketing esplora il funzionamento del cervello del consumatore e come le pubblicità possono influenzare le nostre scelte. In questo articolo, esamineremo il legame tra dopamina e marketing pubblicitario, come agisce nel nostro cervello e il possibile rischio di creare dipendenza.

Ma qual è il ruolo della dopamina in questo ambito? La dopamina costituisce una molecola con struttura ciclica ad anello benzenico e presenta un gruppo etilamminico terminale, rientrando nella categoria delle catecolamine, agendo come neurotrasmettitore nel sistema nervoso centrale. Si distribuisce in varie aree del nostro cervello, noti come circuiti dopaminergici, con nuclei localizzati nel mesencefalo, come la substantia nigra, il nucleus accumbens e l’area tegmentale ventrale.

Neuroni in queste specifiche regioni possiedono gli enzimi necessari per sintetizzare la dopamina da precursori, utilizzandola come neurotrasmettitore per la comunicazione con altri neuroni nel circuito. Questi neuroni reagiscono a specifici stimoli, attivandosi quando compiamo azioni soddisfacenti che si ripetono nel tempo.

La dopamina, anticamente un segnale di ricompensa per la ricerca di cibo, oggi genera una scarica di soddisfazione al consumare un buon pasto o dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti. Questo meccanismo di feedback positivo, originariamente essenziale per la sopravvivenza, può contribuire alle moderne dipendenze, come l’acquisto di un desiderato prodotto, attivando circuiti simili a quelli dell’antico cacciatore che nutriva la sua famiglia dopo aver ucciso una bestia selvaggia.

Ma cos’è il marketing della dopamina? Il marketing della dopamina è la strategia adottata da molte agenzie pubblicitarie per “sfruttare” l’influenza della dopamina nel nostro cervello, inducendo comportamenti d’acquisto. Come discusso in precedenza, il sistema dopaminergico (insieme a quello serotoninergico) è ampiamente coinvolto nel comportamento di rinforzo e nella ripetizione di azioni soddisfacenti.

In uno studio del 2020, gli studiosi hanno esplorato l’effetto di una molecola stimolante simile alla dopamina (L-DOPA) e di un placebo su due gruppi sperimentali distinti. I partecipanti dei gruppi venivano successivamente invitati a effettuare una scelta d’acquisto. L’impiego di tale molecola (e quindi l’attivazione del sistema dopaminergico cerebrale) ha dimostrato un impatto significativo sul comportamento d’acquisto, praticamente inducendo il consumatore a ponderare meno sulla valenza dell’acquisto.

Esaminiamo più approfonditamente il funzionamento dello studio: all’inizio dell’esperimento, ai partecipanti veniva casualmente assegnata l’assunzione di una sostanza. In un caso si trattava di L-DOPA, nell’altro di un semplice placebo. Dopo pochi minuti, quando la sostanza produceva effetto, venivano forniti loro 5 dollari da investire in una simulazione di mercato azionario. Fondamentalmente, dovevano effettuare investimenti in alcune delle compagnie presenti nel loro portfolio, ricevendo contemporaneamente aggiornamenti sull’andamento del mercato finanziario. Il compito consisteva poi nel valutare se pensavano di aver aumentato o diminuito il guadagno dopo l’investimento. Inoltre, potevano decidere di pagare una somma per rimanere completamente all’oscuro dell’andamento del mercato e “andare alla cieca”, per così dire.

La sorprendente influenza della dopamina sulla scelta dei partecipanti non era conforme alle aspettative. I soggetti trattati con L-DOPA erano disposti a pagare di più per ottenere informazioni sul loro portafoglio o per evitarle, a seconda delle fluttuazioni del mercato. Fondamentalmente, quando il valore delle azioni diminuiva, evitavano di conoscere l’entità delle loro perdite, mentre quando aumentava, desideravano essere informati sulla crescita dei loro guadagni. Al contrario, i partecipanti con placebo cercavano informazioni sui possibili guadagni con la stessa intensità, ma non volevano rimanere all’oscuro delle loro perdite. L’effetto della dopamina, in breve, si traduceva in una minore propensione a considerare e accettare il fallimento.

Lo studio menzionato suggerisce che le scelte con esiti negativi vengono considerate meno quando la dopamina è coinvolta. Tuttavia, questo non spiega appieno il nostro desiderio persistente di acquistare, sia che si tratti di una Barbie da bambini o di un iPhone da adulti.

La chiave sta nel significato che il comportamento di acquisto assume nella nostra vita. Se, da un lato, il circuito dopaminergico può attivarsi attraverso la soddisfazione di un pasto essenziale per la sopravvivenza, allo stesso modo un prodotto con un alto valore sociale può generare lo stesso effetto. Se il nostro cervello attribuisce un significato particolare a un oggetto, l’atto dell’acquisto diventa gratificante, attivando i circuiti dopaminergici e rinforzandone la ripetizione. Questo spiega anche molti acquisti compulsivi, simili a una dipendenza da sostanze psicoattive. La significativa scarica di dopamina nel primo acquisto crea un loop di feedback positivo, stimolando la sintesi di nuova dopamina negli stessi neuroni.

Nel contesto dello studio precedentemente citato, la dopamina influisce non solo sulla ripetizione dell’azione ma anche sulla scelta di rimanere ignari: quando siamo intrappolati nel circuito, sembra difficile rendersi conto delle conseguenze negative delle nostre decisioni. È un’ipotesi intrigante, che apre la strada a dibattiti stimolanti.

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